A Palermo “Maiolica, i corredi dello speziale XVII – XVIII secolo”
Dalle scansie delle antiche botteghe, agli scaffali dell’ex Monte dei pegni. Fino al 18 febbraio 2018, preziosi contenitori di farmaci a Palazzo Branciforte
La bella mostra palermitana presenta esclusivamente maioliche da farmacia create nelle botteghe ceramiche dei più importanti centri della Sicilia: Caltagirone, Burgio, Sciacca, Palermo, Collesano, Trapani. Sono bottiglie, albarelli, bricchi, bocce, diversi per forme, colori e disegni, che corredavano le botteghe degli speziali presenti numerosi nell’Isola e rinomati in tutto il Mediterraneo.
Circa 172 i contenitori raccolti per l’occasione, risalenti ai secoli XVII e XVIII; provengono da collezioni private e trovano posto, secondo manifattura e ordine cronologico, sui ripiani in legno dei locali che furono del Monte dei pegni Santa Rosalia, presso l’antico Palazzo Branciforte, oggi sede museale della Fondazione Sicilia, un luogo di grande suggestione riaperto nel 2012 dopo importanti interventi di restauro affidati all’architetto di fama mondiale Gae Aulenti.
L’esposizione vede il sostegno della Fondazione Sicilia e l’impegno organizzativo della BALAT – acronimo di Beni Artistici per un Lavoro Attivo sul Territorio – associazione che da alcuni anni si occupa della salvaguardia del patrimonio culturale siciliano, offrendo opportunità di lavoro grazie al finanziamento di progetti che attingono ai fondi europei.
«Questa mostra è la conferma dello straordinario risveglio di Palermo che è già capitale della Cultura grazie al contributo di tutti e specialmente della Fondazione Sicilia che ha trasformato Villa Zito e Palazzo Branciforte», ha dichiarato il sindaco Leoluca Orlando, intervenuto all’inaugurazione.
Con la mostra “Maiolica, i corredi dello speziale XVII – XVIII secolo”, infatti, la città anticipa di qualche settimana l’apertura degli eventi in occasione della nomina a Capitale italiana della Cultura 2018.
Le maioliche dello speziale siciliano
Nei secoli hanno operato in Sicilia eminenti studiosi di piante medicinali, alcuni dei quali rimasti nella storia, come il celebre Nicolò Gervasi (1632-1681), farmacista, chimico e botanico con bottega e biblioteca nei pressi della pizza di Ballarò a Palermo, autore dell’Antidotarium Panormitanum pharmachymicum, edito nel 1670.
Già nel Cinquecento i costanti rapporti commerciali con l’oriente – da cui arrivavano le spezie più rare – facevano dei farmacisti personaggi colti, aperti al mondo esterno, e persone abbastanza ricche tanto da potersi permettere di ordinare fuori dalla Sicilia i contenitori necessari al loro lavoro, non accontentandosi dei prodotti locali.
Come gli studi confermano, infatti, alcuni importanti speziali, attraverso intermediari del continente, facevano arrivare nelle loro botteghe isolane maioliche da farmacia create a Casteldurante,Venezia, Faenza, Urbino, Genova, Napoli. Dunque, i corredi vascolari che nei secoli riempirono gli scaffali degli aromatari siciliani non furono prodotti solo in loco. Come scrive Rosario Daidone, studioso di ceramiche e curatore del catalogo della mostra palermitana: “Soltanto alla fine del ’500 e agli inizi del ’600, la presenza delle ceramiche siciliane si fa in costante aumento nelle citazioni inventariali”.*
Poste in buon ordine nella bottega/farmacia, queste caratteristiche maioliche d’uso non identificavano solo la varietà dei rimedi disponibili, ma confermavano visivamente, attraverso la loro bellezza, lo spessore professionale di chi sapeva servirsi del loro contenuto; esse mostravano, cioè, il prestigio sociale di cui godeva lo speziale stesso che, come un alchimista, operava in uno spazio suggestivo e misterioso in cui abbondavano mortai, mestoli, spatole, coltelli, strumenti di precisione: “Un ambiente unico, insieme ai luoghi di culto, a possedere, nella povertà iconografica del passato, delle immagini, e in più, rispetto alle chiese, anche immagini profane”.* Su questi contenitori dai colori vivaci e dai decori affascinanti, gli speziali apponevano i cartigli che riportavano il nome del rimedi: le scritte in latino abbreviato e i caratteri gotici, rendevano impossibile ai più la comprensione del reale contenuto dei vasi, circostanza, questa, che insieme all’aspetto arcano del luogo, contribuiva a rendere il farmacista persona rispettata e temuta, una figura cui si attribuiva la capacità di decidere della vita e della morte a mezzo di “intrugli” misteriosi.
I caratteri stilistici
Tra il ’500 e il ’700, le maioliche prodotte in Sicilia si presentano carenti di quel valore decorativo innovativo insito nelle ceramiche create presso i maggiori centri italiani nello stesso periodo.
Il fenomeno, spiega Daidone, fu dovuto “alla mancanza di committenze laiche di prestigio signorile che numerose furono invece nei centri più famosi della produzione rinascimentale italiana come Urbino, Faenza, Casteldurante, Venezia, Gubbio, etc.”,* e alla volontà dei ricchi siciliani di rimanere legati all’uso del metallo nobile come elemento distintivo e arredativo di pregio.
La quasi totalità dei manufatti ceramici rimane, dunque, strettamente legata all’uso pratico come contenitori atti alla conservazione: non si crearono, cioè, grandi piatti da pompa o targhe ad uso decorativo, non si realizzarono centrotavola imponenti ed altri oggetti destinati all’arredo degli ambienti fastosi. Se si esclude il corredo da farmacia, le ceramiche siciliane restano in quei secoli suppellettili di gusto popolare e da cucina.
Nello specifico, si oppose all’aggiornamento stilistico dei vasi da farmacia il conservatorismo dei maggiori committenti dell’Isola: gli speziali, quasi unici acquirenti di maioliche di un certo pregio. Molto legati alla tradizione, essi erano usi fornire agli artigiani del posto dettagliate specifiche riguardo a forme e decori che restavano, dunque, fermi agli stilemi passati, immuni alle mode del momento. Ed anche quando per il loro corredo si rivolgevano altrove, essi non lasciavano alcuno spazio all’estro del decoratore. Rosario Daidone riporta che, per i farmacisti dell’Isola, le manifatture del continente producevano appositamente pezzi decorativamente superati: “(…) una bottega faentina, quella di Virgiliotto Calamelli, alla fine del ’500 in piena moda di imperante “compendiario”, fornisce alle nostre aromaterie maioliche decorate ancora con medaglioni e trofei; due esemplari presenti in Mostra sono tanto simili ai palermitani che spesso i reperti in circolazione vengono confusi con quelli fabbricati in Sicilia”. E questo è solo uno degli esempi forniti dallo studioso.
Per fortuna, però, come spesso avviene in campo creativo, i decoratori isolani, pur condizionati dai committenti, riuscivano talvolta ad inserire nei loro lavori alcuni elementi di novità: “Si tratta di piccole ma significative varianti nelle singole opere – precisa Daidone – geniali invenzioni talvolta a dispetto degli stessi clienti”*, che rendono unici questi reperti già da tempo apprezzati dai collezionisti più attenti.
*Rosario Daidone, Catalogo della mostra “Maiolica, i corredi dello speziale XVII – XVIII secolo”, Kalos Edizioni d’Arte, 2017
Immagine di copertina: Boccia, h cm 29, manifattura di Trapani, XVII secolo
Scheda informtiva:
“Maiolica, i corredi dello speziale XVII – XVIII secolo”
Palazzo Branciforte, via Bara all’Olivella 2 – Palermo
Fino al 18 febbraio 2018
Orario: dal martedì alla domenica 9.30-14.30; lunedì chiuso.
La biglietteria chiude un’ora prima
La Mostra è inserita nel percorso di visita standard di Palazzo Branciforte, sede museale d’arte e archeologia.
www.palazzobranciforte.it